Abusi edilizi e indennità paesaggistica.Cosa ha veramente detto la Corte Costituzionale

Con sentenza non definitiva del 18 marzo 2022 nr. 318, il CGARS ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, della legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17 (Provvedimenti per la prevenzione dell’abusivismo edilizio e per la destinazione delle costruzioni edilizie abusive esistenti)in riferimento all’art. 14, comma 1, lettera n), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Oggetto materiale del giudizio in questione è un immobile edificato abusivamente nell’area della Valle dei Templi in Agrigento su cui insiste il vincolo paesaggistico, apposto in epoca successiva alla edificazione del bene.

Senonché, nel recente passato, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con due sentenze non definitive iscritte al n. 162 e al n. 163 reg. ord. del 2021, aveva già investito la Corte Costituzionale di una questione similare, se non sovrapponibile, a quella oggi in commento.

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Con riferimento a queste ultime due sentenze, la Consulta si è pronunciata con la sentenza n. 75 del 24 marzo 2022, dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, della legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17 (Provvedimenti per la prevenzione dell’abusivismo edilizio e per la destinazione delle costruzioni edilizie abusive esistenti), sollevata, in riferimento all’art. 14, comma 1, lettera n), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Inoltre, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 17 del 1994, sollevata in relazione agli artt. 3 e 97 Cost.

Per comprendere quale potrebbe essere l’esito del giudizio costituzionale oggi pendente, occorre necessariamente esaminare sia il contenuto della norma impugnata sia il testo della sentenza nr. 75 del 2022 della Corte Costituzionale che, come anticipato, precede la sentenza del 18 marzo 2022 nr. 318 del C.g.a. .

Ebbene, il citato art. 5 c. 3 della l.r. 17/1994 (nella versione rivissuta dopo la sentenza n. 39 del 2006 della Corte Costituzionale) dispone testualmente che «[i]l nulla-osta dell’autorità preposta alla gestione del vincolo è richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all’ultimazione dell’opera abusiva.

Tuttavia, nel caso di vincolo apposto successivamente, è esclusa l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell’autore dell’abuso edilizio».

La norma de qua s’inserisce in un quadro normativo complesso, finalizzato a regolamentare la materia del condono edilizio. Invero, la Regione Siciliana ha disciplinato la materia con la legge regionale 10 agosto 1985, n. 37 (Nuove norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive), nell’esercizio della potestà legislativa primaria ad essa attribuita dall’art. 14, lettere f) e n), dello statuto speciale nelle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio.

L’art. 23, comma 10, di tale legge dispone che, «[p]er le costruzioni che ricadono in zone vincolate da leggi statali o regionali per la tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, igienici, idrogeologici, delle coste marine, lacuali o fluviali, le concessioni in sanatoria sono subordinate al nulla-osta rilasciato dagli enti di tutela sempre che il vincolo, posto antecedentemente all’esecuzione delle opere, non comporti inedificabilità e le costruzioni non costituiscano grave pregiudizio per la tutela medesima […]».

Questa disposizione è stata oggetto di interpretazione autentica ad opera del censurato art. 5, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 17 del 1994, il quale ha chiarito che, in caso di vincolo apposto successivamente all’ultimazione dell’opera abusiva, per ottenere la concessione edilizia in sanatoria è comunque necessario il nulla-osta dell’autorità preposta alla gestione del vincolo, ma «è esclusa l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell’autore dell’abuso edilizio».

Sennonché, lo stesso art. 5, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 17 del 1994 era stato successivamente sostituito dall’art. 17, comma 11, della legge della Regione Siciliana 16 aprile 2003, n. 4 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2003), che aveva fornito un’interpretazione diversa della citata disposizione regionale del 1985, stabilendo che «[i]l parere dell’autorità preposta alla gestione del vincolo è richiesto, ai fini della concessione o autorizzazione edilizia in sanatoria, solo nel caso in cui il vincolo sia stato posto antecedentemente alla realizzazione dell’opera abusiva».

Tuttavia, quest’ultima norma non ha superato il vaglio di costituzionalità, tant’è che è stata tuttavia dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 39 del 2006, in considerazione del fatto che una nuova norma di interpretazione autentica contrastava con il principio di ragionevolezza dato che vi era già stata una annosa e consolidata applicazione giurisprudenziale dei principi contenuti nella primigenia norma di interpretazione autentica.

Così chiarito il quadro normativo, si può passare ad una breve analisi della sentenza della Corte Costituzionale nr. 75 del 2022 nella parte in cui si concentra sulle motivazioni per le quali ha dichiarato la non fondatezza della questione.

Salta all’occhio, dal testo della sentenza, come i giudici di Palazzo della Consulta abbiano dato atto della ricostruzione della natura dell’indennità paesaggistica effettuata dal CGARS criticandone, al contempo, la scarsa articolazione motivazionale.

Ed è per tale ragione che la questione di legittimità costituzionale è stata dichiarata inammissibile, pur non essendo implausibili le conclusioni della sentenza di rimessione che sosteneva la natura riparatoria, e non sanzionatoria dell’indennità paesaggistica.

Ad avviso della Corte Costituzionale, infatti, le considerazioni del rimettente sull’indennità paesaggistica erano condivisibili, ma non sufficientemente argomentate o motivate. Tant’è che essa afferma che “una motivazione più articolata di quella offerta dal rimettente sarebbe stata tanto più necessaria a fronte di diversi elementi testuali che condurrebbero a ritenere invece applicabile l’art. 167 del d. lgs. n. 42 del 2004 solo al caso di intervento edilizio eseguito in violazione dell’obbligo di chiedere l’autorizzazione paesaggistica, cioè su un’area già vincolata al momento di realizzazione dell’abuso edilizio”.

Quanto alla seconda questione, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., è stata dichiarata non fondata perché “richiedendo il nulla-osta, ai fini del condono, anche in caso di vincolo paesaggistico intervenuto dopo l’abuso edilizio, la norma censurata si fa carico di assicurare all’amministrazione preposta alla tutela del paesaggio la possibilità di apprezzare in concreto l’interesse affidato alla sua cura, consentendole di negare la sanatoria nel caso in cui l’opera abusivamente realizzata sia incompatibile con il bene tutelato. Sicchè il principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione non può ritenersi violato, né si può ritenere in sé manifestamente irragionevole la scelta del legislatore regionale di non prevedere per tale ipotesi il pagamento dell’indennità, in ragione dell’assenza dell’illecito paesaggistico al momento della realizzazione dell’opera”.

In definitiva, la Corte Costituzionale

a) indica la sussistenza di elementi testuali che fanno propendere per l’applicabilità dell’art. 167 del d. lgs. n. 42 del 2004 ai soli abusi realizzati su un’area già vincolata al momento di realizzazione dell’opera. Si tratta di una interpretazione contrastante con quella della giurisprudenza amministrativa; a tal proposito il C.g.a. aveva fatto presente che l’indennità connessa all’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica sarebbe dovuta in ambito nazionale anche se il vincolo paesaggistico è sopravvenuto rispetto alla realizzazione dell’abuso (e ciò indipendentemente dalla qualificazione della medesima come sanzionatoria o risarcitoria), in ragione, da un lato, della sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 20 del 1999, dall’altro dell’ art. 2, comma 46, della legge n. 662 del 1996 (cui la giurisprudenza avrebbe attribuito portata interpretativa). La norma regionale censurata si discosterebbe, dunque, dalla disciplina nazionale, con la conseguenza che nel territorio siciliano sarebbe assicurato un livello di tutela del paesaggio meno elevato di quello nazionale. Orbene, tale ragionamento è stato bypassato dalla Corte Costituzionale che ha prospettato la possibilità che (a monte) non sia richiesto il parere di compatibilità paesaggistica nel caso in cui l’abuso è stato realizzato prima della apposizione del vincolo.

b) ritiene “non implausibile” (senza però prendere posizione) la tesi del C.g.a. sulla natura riparatoria (e non sanzionatoria in senso stretto) dell’indennità paesaggistica (con la conseguente astratta inapplicabilità della legge n. 689 del 1981)

c) chiarisce che l’art. 5, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 17 del 1994 richiede comunque, ai fini della concessione in sanatoria, il nulla-osta dell’organo di tutela del vincolo, nulla-osta che viene rilasciato sempre che «le costruzioni non costituiscano grave pregiudizio per la tutela medesima». In tal senso, la norma si fa carico di assicurare all’amministrazione preposta alla tutela del paesaggio la possibilità di apprezzare in concreto l’interesse affidato alla sua cura, consentendole di negare la sanatoria nel caso in cui l’opera abusivamente realizzata sia incompatibile con il bene tutelato. Sicché il principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione non può ritenersi violato, né si può ritenere in sé manifestamente irragionevole la scelta del legislatore regionale di non prevedere per tale ipotesi il pagamento dell’indennità, in ragione dell’assenza dell’illecito paesaggistico al momento della realizzazione dell’opera.

Ciò posto, è adesso possibile esaminare la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla sentenza non definitiva n. 318 del 18.03.2022.

Con motivazioni quasi sovrapponibili alle precedenti sentenze di rimessione, il CGARS, sostiene che l’art. 5, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 17 del 1994 non consentirebbe di richiedere il pagamento dell’indennità paesaggistica di cui all’art. 167, comma 5, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), in caso di vincolo paesaggistico sopravvenuto, violerebbe l’art. 14, comma 1, lettera n), dello statuto speciale, che attribuisce alla Regione Siciliana competenza legislativa primaria nella materia «tutela del paesaggio», per contrasto con le norme di grande riforma economico-sociale contenute nel citato art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, con conseguente violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Inoltre, da quanto emerge dalle argomentazioni della sentenza, la disposizione regionale censurata sarebbe lesiva agli artt. 3 e 97 Cost., in quanto rischierebbe di compromettere l’efficacia deterrente dell’istituto dell’indennità paesaggistica, «con conseguente irragionevolezza intrinseca della disciplina e connesso pregiudizio al buon andamento della pubblica amministrazione».

Il CGARS, dopo aver sottolineato la piena vigenza dell’art. 5, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 17 del 1994 per effetto della sentenza costituzionale n. 39 del 2006 sopra citata, dedica ampio spazio per argomentare sulla natura riparatoria della sanzione paesaggistica: la sanzione avrebbe infatti funzione di compensazione per la collettività dell’utilità perduta nel tempo dell’abuso.

La portata afflittiva sarebbe dunque secondaria, considerata l’irrilevanza, ai fini dell’integrazione dei presupposti di applicazione della condanna pecuniaria, dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa.

In altre parole, l’imposizione del pagamento della somma di denaro avrebbe una finalità compensativa del danno prodotto e solo in parte afflittiva: in relazione a tale sanzione non risulterebbe dunque applicabile la l. n. 689/1981 la quale, all’art.1, dispone: “Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”.

Detta qualificazione dell’indennità in parola imporrebbe dunque di considerare la normativa vigente al momento della pronuncia dell’Amministrazione, in base alla regola generale (non applicabile all’attività sanzionatoria in senso stretto) per cui la pubblica Amministrazione deve necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede, della norma vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone e ciò ai sensi dell’art. 97 Cost.

Tuttavia, da un raffronto testuale tra la sentenza del CGARS appena esaminata e le sentenze che hanno condotto alla pronuncia della Corte Costituzionale nr. 75 del 2022, non pare che emergano motivazioni di uno spessore e di un approfondimento superiori rispetto a queste ultime. Sebbene la questione di legittimità sia stata ritenuta rilevante dal CGARS, la sua formulazione (sotto il profilo della rilevanza) appare oggi in contrasto con le indicazioni della Corte Costituzionale che, per ragioni temporali, non sono state conosciute dai Giudici siciliani.

Si può dunque dedurre che l’esito dinanzi alla Corte Costituzionale sarà analogo al precedente deciso con la recente sentenza n. 75/2022.

Avv. Rosa Guida

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Rosa Guida

Di Rosa Guida

Nasce a Palermo nel 1993. Dopo la maturità Classica si laurea in giurisprudenza nel 2018 presso l'Università degli studi di Palermo, presentando una tesi in Diritto Costituzionale dal titolo "il principio dell'equilibrio di bilancio e i diritti sociali nella giurisprudenza della Corte Costituzionale". Abilitata all’esercizio della professione di Avvocato è regolarmente iscritta all’Albo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Termini Imerese e collabora con gli avv.ti V. Fiasconaro e A. Cannizzo.