Annullamento d’ufficio del permesso di costruire in esito a sentenza penale di condanna

Pantelleria - Foto di Emilia Machì

La questione recentemente affrontata dal C.g.a. con la sentenza n. 989 del 2022 riguarda la possibilità di annullare d’ufficio un permesso di costruire a distanza maggiore di 18 mesi (oggi il limite è di 12 mesi) in esito a una sentenza penale di condanna che ordina le demolizione e dichiara illecito il titolo edilizio.

Il Comune aveva annullato d’ufficio la concessione edilizia e disposto la conseguente demolizione dell’immobile, e ciò ben oltre il termine generale previsto per la possibilità di ritiro in autotutela di un provvedimento.

Il ricorrente aveva così denunciato l’illegittimità dell’impugnato provvedimento di annullamento d’ufficio per violazione del termine di diciotto mesi. La censura è stata rigettata. I Giudici hanno rilevato che l’art. 21 nonies della L. 241/1990 (che fissava il termine massimo di 18 mesi, oggi stabilito in 12) può riguardare esclusivamente i provvedimenti di secondo grado che siano espressione di discrezionalità amministrativa, ossia di una potestà il cui esercizio sia rimesso alle determinazioni dell’amministrazione, e non anche ai provvedimenti ad adozione e a contenuto vincolati, i quali debbono, per l’appunto, essere necessariamente adottati in adempimento di un dovere giuridico. Solo l’esistenza di un ampio margine di discrezionalità, riservato alla pubblica amministrazione, giustifica, difatti, l’imposizione, per legge, di un termine finale a pena di decadenza.

Non altrettanto è, invece, a dirsi per i provvedimenti ad adozione vincolata, in cui nessuna illegittimità potrà ravvisarsi di per sé nell’atto in ragione e a causa della sua adozione fintanto che perduri l’obbligo di provvedere in tal senso.

Nel caso specifico, la doverosità dell’annullamento discendeva dalla circostanza che il Tribunale con la sentenza penale divenuta irrevocabile aveva ordinato la demolizione delle opere abusivamente eseguite ai sensi dell’art. 31 comma 9 d.P.R. 380/01. Tale demolizione postulava sul piano giuridico il preventivo ritiro del titolo edilizio e, quindi, l’adozione di un provvedimento – doveroso – di annullamento d’ufficio.

Ma il Tribunale non si era limitato a ravvisare una generica illegittimità della concessione edilizia: era andato ben al di là statuendo che la concessione edilizia era stata rilasciata dall’amministrazione indotta in errore dal privato che l’ha conseguita, per cui l’illegittimità era così macroscopica e ben nota all’agente da potersi ravvisare il reato di abuso edilizio; l’atto amministrativo era stato il frutto di un’attività delittuosa degli imputati che avevano posto in essere la falsa dichiarazione proprio per ottenere la concessione la quale pertanto è tamquam non esset non essendo riferibile alla sfera del lecito giuridico, oltre la quale non è dato operare ai pubblici poteri.

Alla luce di questa situazione di illiceità che rende privo di rilevanza giuridica il provvedimento concessorio, i Giudici hanno affermato la sussistenza del reato di cui all’art. 44 lett. b) d.P.R. n. 380/01 di esecuzione di lavori in assenza del permesso di costruire.

Sempre il Tribunale aveva osservato che in materia edilizia deve ritenersi inesistente la concessione edilizia non riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, in quanto frutto dell’attività criminosa del soggetto pubblico che la rilascia o del soggetto privato che la ottiene, e per la sua disapplicazione non è necessaria la prova della collusione tra amministratore e soggetti interessati o l’accertamento dell’avvenuto inizio dell’azione penale a carico degli amministratori, sempre che risulti evidente un contrasto con norme imperative talmente grave da determinare non la mera illegittimità dell’atto, ma la illiceità del medesimo e la sua nullità; e ancora che il permesso di costruire era ideologicamente falso, attestando implicitamente il non asservimento del terreno ad altre costruzioni, presupposto di fatto necessario per il rilascio dell’atto in questione la cui esistenza è stata erroneamente ritenuta dal pubblico ufficiale in base alla dichiarazione non veritiera.

Alla luce delle superiori considerazioni il C.g.a. ha concluso non soltanto che l’annullamento era doveroso, discendendo da un ordine giurisdizionale, fondato sull’accertamento della falsità ideologica del provvedimento ritirato, e, quindi, non sottoposto al termine legale di diciotto mesi per l’esercizio discrezionale dell’autotutela, ma anche che la concessione edilizia annullata era illegittima e pure illecita e, come tale, ricadente nell’area dell’inesistenza giuridica stante la gravità del vizio radicale che la affliggeva. L’inesistenza, al pari della nullità, travolge difatti la manifestazione provvedimentale (priva in ogni caso di contenuto effettuale) nella sua interezza, trattandosi di un difetto radicale che vitiatur et vitiat.

Bene dunque ha fatto il Comune ad annullare la concessione edilizia, eliminandola dal mondo giuridico nella sua interezza.

Avv. Vittorio Fiasconaro


Vittorio Fiasconaro

Di Vittorio Fiasconaro

Laureato nel 1991, consegue il dottorato di ricerca in Filosofia del Diritto nel 1997. Nel 1994 si iscrive all’Albo. Dal 1996 al 2007 dirige, dopo aver vinto il concorso, l’Ufficio Legale del Comune di Pantelleria (TP) e poi quello del Comune di Bagheria (PA). Dal 2004 al 2011 insegna Diritto Amministrativo e Diritto Processuale Amministrativo alla Scuola Sant’Alfonso di Palermo. Nel 2009 si iscrive all’Albo degli avvocati esercenti innanzi alla Corte di Cassazione. Oggi fa parte del Foro di Termini Imerese. Ha al suo attivo centinaia di giudizi in cui si e’ costituito dinanzi alla Giurisdizione Amministrativa.