Con una interessante pronuncia (n. 330 del 2023) il C.g.a. ha fatto chiarezza sui possibili usi dei volumi legittimamente chiusi in virtù dell’art. 20 della L.r. 4/2003.
La norma come è noto prevede che :
“ 1. In deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggetti a concessioni e/o autorizzazioni né sono considerati aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l’acquisizione preventiva del nulla-osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo 46.
2. Nei casi di cui al comma 1, contestualmente all’inizio dei lavori il proprietario dell’unità immobiliare deve presentare al sindaco del comune nel quale ricade l’immobile una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi ed il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme urbanistiche, nonché di quelle igienico-sanitarie vigenti, unitamente al versamento a favore del comune dell’importo di cinquanta euro per ogni metro quadro di superficie sottoposta a chiusura con struttura precaria.
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie come previsto dall’articolo 9 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37; per tali casi è dovuto l’importo di venticinque euro per ogni metro quadro di superficie chiusa.
4. Ai fini dell’applicazione dei commi 1, 2 e 3 sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione. Si definiscono verande tutte le chiusure o strutture precarie come sopra realizzate, relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati. Sono assimilate alle verande le altre strutture, aperte almeno da un lato, quali tettoie, pensiline, gazebo ed altro ancora, comunque denominate, la cui chiusura sia realizzata con strutture precarie, sempre ricadenti su aree private.
5. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, altresì, per la regolarizzazione delle opere della stessa tipologia già realizzate.
6. Il proprietario o il concessionario di immobili e/o parti di essi oggetto dell’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 non può vantare diritti nei confronti di terzi in dipendenza della situazione sopravvenuta, né può in alcun modo essere variata la destinazione d’uso originaria delle superfici modificate.”
I Giudici confermano in primo luogo che la disposizione non è stata abrogata dalla l.r. n. 16/2016 con la quale è stato recepito nell’ordinamento regionale il T.U. in materia di edilizia (v. CGARS sez. riun. parere 23.10.2020 n. 275 e 25.05.2022 n. 256).
Tale disciplina (sul cui ambito di applicazione, v. CGARS sez. riun. parere 17.05.2010 n. 105, 10.01.2012 n. 1601, 03.09.2015 n. 771, 01.04.2020 n. 105) esclude un aumento di superficie utile o di volume con la chiusura di verande, che sarebbe invece pacifico in applicazione dei principi generali in materia, e, proprio per il suo carattere di finzione derogatoria, non consente tuttavia una assimilazione tout court degli spazi così racchiusi agli spazi interni dell’abitazione (implicitamente in tal senso CGARS sez. giur. 13.01.2022 n. 36), poiché altrimenti si finirebbe per dare a tali spazi ogni sorta di potenzialità che oltrepasserebbe il limite di ciò che, per finzione, è stato eccezionalmente consentito.
Il vantaggio che concede la legge regionale è la “chiusura” del balcone, ben inteso con metodi e materiali che ne consentano la facile rimozione (CGARS sez. riun. parere 03.09.2015 n. 771, 01.04.2020 n. 105, 25.05.2022 n. 256 e, anche con riguardo ai profili di sicurezza, 23.10.2020 n. 275; CGARS sez. giur. 16.01.2023 n. 52), mentre per il resto deve ritenersi che negli spazi racchiusi sono possibili tutti e soltanto quegli interventi che sarebbero stati ammissibili quando tali spazi erano aperti, senza dunque alcun sovraccarico urbanistico. E’ questo il limite insuperabile che costituisce il punto di bilanciamento rispetto al favor della fictio. Superato questo limite, la finzione recede e ritorna in campo la disciplina generale.
Per questa ragione la giurisprudenza ha negato la possibilità di un vero e proprio inglobamento della veranda nell’abitazione cui accede (CGARS sez. giur. 20.12.2022 n. 1296 e 16.01.2023 n. 43).
Ed è anche in questa chiave che va inteso quanto previsto dall’art. 20 cit., c. 6: “né può in alcun modo essere variata la destinazione d’uso originaria delle superfici modificate”. Per il mantenimento della fictio, sono possibili tutti e soltanto quegli usi che sarebbero stati ammissibili quando tali spazi erano aperti.
D’altra parte, la suddetta disciplina va letta alla luce dell’art. 23-ter T.U. edilizia, secondo il quale “salva diversa previsione da parte delle leggi regionali”, non riscontrabile nell’ordinamento regionale siciliano, “costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale”, mentre “il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito” (sul rilievo di tale disciplina anche in caso di recupero volumetrico di sottotetti a fini abitativi, CGARS sez. riun. parere 15.01.2021 n. 44 e 29.07.2021 n. 267).
La sentenza del C.g.. ha chiarito che occorrerà riconsiderare criticamente una certa propensione della giurisprudenza a vedere, in queste situazioni, un mutamento della destinazione d’uso.
In materia sono correnti ulteriori distinzioni che per le aggettivazioni usate appaiono fonte di equivoco, ove si finisca per affermare che il passaggio da superficie “non residenziale” o “non abitabile” a superficie “residenziale”, “utile” o “abitabile” determinerebbe de plano un mutamento della destinazione d’uso.
Queste ulteriori distinzioni hanno rilievo ai fini dei diversi criteri di computo dei volumi e delle superfici, e per questo, nella disciplina generale, comportano di regola la necessità di un permesso edilizio – usuale rilievo che tuttavia è espressamente escluso nel caso della evocata disciplina derogatoria regionale – ma, a ben vedere, non attengono di per sé alla sussistenza o meno di un mutamento di destinazione d’uso.
Il caso dei balconi è emblematico. La loro corrente qualificazione di superficie “non residenziale” ha, come si è detto, di regola rilievo riguardo ai criteri di calcolo dei volumi e delle superfici, ma, dal punto di vista in senso stretto della destinazione d’uso, essi seguono ab origine la destinazione del bene cui sono asserviti: sicché se sono asserviti ad un bene “residenziale” essi hanno di per ciò stesso destinazione “residenziale”, anche se ad altri fini, appunto ai fini dei criteri di calcolo dei volumi e delle superfici, sono definiti “non residenziali”.
Viene così portato ad esempio il Regolamento edilizio del Comune di Palermo (art. 3), che risponde ad un modello generalmente diffuso. Da un lato, ai fini dei criteri di calcolo della superficie: “Per “superficie complessiva” si intende quella costituita dalla somma della superficie utile abitabile (Su) e dal 60% del totale della superficie non residenziale. La superficie complessiva si utilizza ai fini della determinazione del costo di costruzione dell’edificio”; nella “superficie non residenziale” sono tra l’altro compresi “logge e balconi”; nella “superficie utile abitabile” non si calcolano i “balconi”. Ai fini dei criteri di calcolo del volume: “Sono altresì esclusi dal calcolo del volume consentito i porticati o porzioni di essi, i balconi …”.
D’altro lato, ai fini della destinazione: “Per “superficie non residenziale”, comprensiva come si è visto di logge e balconi, “si intende quella destinata a servizi ed accessori, a stretto servizio delle residenze”.
E’ dunque evidente che siffatto “stretto servizio” non possa significare altro, a mente delle categorie funzionali di cui al citato art. 23-ter T.U. edilizia, che l’esser destinati ab origine alla stessa categoria funzionale del bene cui si è asserviti. Non a caso, sempre nell’art. 23-ter cit., non si ha traccia di una distinta categoria funzionale “non residenziale”.
In sostanza, con la chiusura della veranda, non è apprezzabile un mutamento della destinazione d’uso, né, per gli spazi così racchiusi, è ravvisabile, come di regola, un aumento dei volumi o delle superfici utili, in ragione dell’espressa deroga legislativa regionale.
Non si può dire dunque, dal punto di vista della destinazione d’uso, che sarebbe stato di per sé vietato collocare negli spazi aperti a retro prospetto e dunque, adesso, negli stessi spazi chiusi dalla veranda una lavatrice o un cucinino o una piastra radiante o ancora un piccolo ripostiglio, sempre compatibilmente con l’assenza di interventi strutturali abusivi (quale sarebbe ad es. la realizzazione di un piano cottura in muratura), così come la giurisprudenza di questo Consiglio ha già ammesso la possibilità che vi si possano depositare “cose” o, ad arredo, “mobili, divani e poltrone” (CGARS sez. riun. parere 11.04.2016 n. 321).
Ma sono proprio i dati strutturali a rilevare.
Di sicuro rilievo rimane (in tal senso) la realizzazione di tramezzi, fossero anche di sottile cartongesso, la demolizione o costruzione di muri, la dismissione degli infissi o l’apertura di una piccola finestra, tutti interventi che se fossero intervenuti quando gli spazi erano aperti avrebbero avuto bisogno di un permesso edilizio. E ciò perché gli spazi racchiusi dalla veranda non possono tout court equipararsi agli spazi interni dell’abitazione. La giurisprudenza del C.g.a. ha del resto già avuto modo di escludere che l’art. 20 cit. possa svolgere una funzione abilitante anche nei riguardi del “tramezzare un terrazzo prima scoperto, per ricavarne uno o più vani, compresi o aggiunti i servizi igienici” (CGARS sez. riun. parere 11.04.2016 n. 321) o del collocare “pannelli interni in cartongesso che rendono un locale unico la veranda e l’adiacente locale” (CGARS sez. giur. 28.12.2018 n. 1036).
Esemplificando, a partire dal caso concreto sottoposto ai Giudici, è stato ritenuto legittimo
a) vietare la realizzazione di un tramezzo con vano porta per il passaggio dalla lavanderia ad altra porzione di veranda; la realizzazione di un tramezzo al fine di dividere la veranda con altra porzione a servizio della stanza adiacente, ove è stato dismesso l’infisso esterno e, con riguardo al piccolo ripostiglio la realizzazione di un tramezzo con porta d’accesso. Vietare la dismissione dell’infisso esterno; la realizzazione di una piccola finestra nel muro di tompagno; lo ampliamento di circa mq. 2,50 del vano wc sul balcone mediante chiusura in muratura per due lati e abbattimento di porzione del muro di tompagno.
I Giudici hanno infine precisato che:
-non vi è in sé alcun ostacolo pregiudiziale alla collocazione di una piastra radiante negli spazi racchiusi dalla veranda, se non fosse che, nel caso di specie, essa sembrerebbe risultare ancorata ad un tramezzo abusivo;
– non vi è in sé alcun ostacolo pregiudiziale alla collocazione negli spazi racchiusi dalla veranda di un piccolo ripostiglio, se non fosse che, nel caso di specie, tale ripostiglio è stato, dal punto di vista strutturale, delimitato da un tramezzo abusivo con porta d’accesso.
Una ultima precisazione importante.
Il C.g.a. ha ritenuto che, per quanto gli interventi vadano considerati sempre nel loro complesso, per poterne apprezzare la valenza, ciò, in applicazione del principio di proporzionalità, non significa che anche la misura sanzionatoria debba sempre investire tale complesso nella sua interezza, ogni qual volta sia possibile scindere le parti abusive dalle altre, ovvero sia ogni qual volta il ripristino dello stato dei luoghi nei riguardi delle parti abusive possa lasciare indenni le parti residue che in sé sole considerate non sarebbero abusive.
Il provvedimento impugnato è stato dunque annullato nella parte in cui ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi nei riguardi della chiusura delle verande, del cucinino/piano cottura, della lavatrice/lavanderia, mentre è stato tenuto fermo nella parte in cui ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi nei riguardi dei tramezzi, fossero anche di sottile cartongesso, della demolizione o costruzione di muri, della dismissione degli infissi e della apertura di una finestra, con indiretto travolgimento di quegli interventi, come la collocazione della piastra o la creazione del rispostiglio, pur in linea di principio ammissibili con una diversa conformazione, ma che, allo stato, appaiono indissolubilmente collegati ai summenzionati abusi.
Avv. Vittorio Fiasconaro