I provvedimenti della Soprintendenza hanno carattere recettizio?

Il caso affrontato dai Giudici e’ quello di una persona che aveva chiesto alla Soprintendenza dei beni culturali e ambientali di Palermo, l’autorizzazione paesaggistica su un progetto di ristrutturazione del proprio immobile e di realizzazione di una piccola piscina; la Soprintendenza aveva interrotto il termine di 120 giorni di cui all’art. 46 della L.R. 17/2004 con la richiesta d’integrazione documentale, di cui ha dimostrato l’inoltro alla ricorrente, ma non anche la ricezione.

La questione da definire era se la mancata ricezione della richiesta aveva comportato o meno il decorso del termine per la maturazione del silenzio assenso.

Secondo la Soprintendenza, cio’ non era avvenuto.

Secondo il ricorrente, il termine non era stato interrotto e aveva completato il suo percorso, venendo a determinare il formarsi del silenzio assenso.

Il Tar ha dato ragione al ricorrente (sentenza n. 2642 del 2020).

Invero, l’art. 46 della l.r. n. 17 del 28 dicembre 2004 dispone: al comma 1, che le autorizzazioni a eseguire opere in zone soggette a vincolo paesistico sono rilasciate o negate entro il termine perentorio di 120 giorni, decorso il quale il parere s’intende reso in senso favorevole; al comma 2, che le competenti Soprintendenze possono interrompere i termini dei 120 giorni solamente una volta per la richiesta di chiarimenti o integrazioni; alla presentazione della documentazione richiesta gli uffici avranno l’obbligo di esprimere un proprio parere entro i successivi 60 giorni, trascorso il quale s’intende reso in senso favorevole.

Secondo i Giudici tale norma è assolutamente chiara nel prevedere la formazione di un provvedimento tacito alla scadenza del termine normativamente previsto e in questo senso è stata costantemente interpretata.

Si pone, pertanto, il problema della qualificazione della nota in questione come recettizia o meno.

Vero e’ che in  passato e’ stato affermato il principio di diritto secondo cui i provvedimenti di diniego adottati dalla Soprintendenza  non hanno carattere recettizio e, pertanto, ai fini della produzione degli effetti, è sufficiente il loro inoltro e non anche la ricezione da parte del destinatario.

Tale principio di diritto non è, però, applicabile a tutti gli atti adottati da tale Amministrazione e, in particolare, non lo è relativamente a quelli che s’inseriscono nel contesto di un procedimento finalizzato alla formazione di un provvedimento tacito di accoglimento e sono finalizzati a interrompere termini perentori, qualora la pratica non possa essere istruita, perché incompleta sotto il profilo documentale.

In questi casi viene, infatti, in considerazione un atto che, per sua natura, è recettizio, in quanto deve porre il destinatario nelle condizioni di adempiere alla richiesta istruttoria al fine di fare nuovamente decorre il termine perentorio per la formazione del provvedimento tacito.

Non è, pertanto, sufficiente la sua trasmissione (come sostenuto dalla Soprintendenza), ma è necessaria la sua ricezione. In assenza di prova della quale, deve ritenersi che sulla richiesta di autorizzazione paesaggistica si era formato un provvedimento tacito di assenso, il quale poteva essere privato di effetti solo con l’esercizio di poteri di ritiro e, pertanto, nel rispetto della relativa disciplina.

Va, sotto tale profilo, richiamato il principio di carattere generale, secondo cui, in presenza di un provvedimento, espresso o tacito, il rinnovato esercizio del potere può avvenire solo nelle forme e nel rispetto dei limiti previsti dalla disciplina in materia di poteri di ritiro, di cui agli artt. 21 quinquies (revoca) e nonies (annullamento d’ufficio) della l. n. 241 del 1990.

Ne deriva che, una volta formatosi il provvedimento favorevole tacito con il meccanismo del silenzio-assenso, la procedura deve intendersi ultimata mediante l’assentimento del titolo richiesto e, in sede di eventuale annullamento in autotutela, l’Amministrazione ha l’obbligo di pronunciarsi prendendo in considerazione – in necessario contraddittorio con l’interessato – una serie di elementi (motivi di pubblico interesse che impongono l’annullamento del silenzio formatosi, il decorso del tempo che ha creato affidamento nel privato, i presupposti di legittimità, ecc.) di norma essenziali ai fini dell’adozione dell’atto di secondo grado.

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Vittorio Fiasconaro

Di Vittorio Fiasconaro

Laureato nel 1991, consegue il dottorato di ricerca in Filosofia del Diritto nel 1997. Nel 1994 si iscrive all’Albo. Dal 1996 al 2007 dirige, dopo aver vinto il concorso, l’Ufficio Legale del Comune di Pantelleria (TP) e poi quello del Comune di Bagheria (PA). Dal 2004 al 2011 insegna Diritto Amministrativo e Diritto Processuale Amministrativo alla Scuola Sant’Alfonso di Palermo. Nel 2009 si iscrive all’Albo degli avvocati esercenti innanzi alla Corte di Cassazione. Oggi fa parte del Foro di Termini Imerese. Ha al suo attivo centinaia di giudizi in cui si e’ costituito dinanzi alla Giurisdizione Amministrativa.