Il danno da espropriazione non conclusa. Ipotesi di risarcimento e di restituzione del bene. Analisi della cosiddetta “rinuncia abdicativa”.

La P.A. può realizzare un’opera pubblica sul terreno di un cittadino in assenza di un decreto di esproprio? A quali condizioni si configura il diritto di ottenere un risarcimento del danno o la restituzione del bene? La P.A. può usucapire un bene immobile di un cittadino?

Queste sono solo alcune delle domande a cui si cercherà di rispondere con il presente approfondimento.

La prima questione problematica concernela realizzazione di opere pubbliche sul terreno di un cittadino, previa immissione in possesso da parte da parte della P.A., a cui, tuttavia, non fa seguito, nei cinque anni successivi, l’emissione del decreto di esproprio dell’area occupata.

In tale circostanza, secondo il Tar Palermo (sent. 17/2022), si configura la sopravvenuta inefficacia, ai sensi dell’art. 13, comma 4 del D.P.R. n. 327/2001 (Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità), della dichiarazione di pubblica utilità con la conseguenza che l’occupazionead opera dell’autorità espropriante, originariamente legittima, si è successivamente risolta in una occupazione sine titulo.

Nella sentenza innanzi indicata, inoltre, non viene accolta la richiesta di risarcimento del danno avanzata dal ricorrente quale conseguenza della presunta perdita della proprietà del bene. In tal senso, secondo il Tar Palermo, “da tale occupazione tuttavia non possono derivare le conseguenze volute dalla ricorrente in ordine al riconoscimento del risarcimento del danno per perdita della proprietà del bene.Ed invero, l’occupazione di un bene di proprietà privata, ove non assistita da un valido ed efficace titolo giustificativo, non comporta l’acquisizione alla mano pubblica, ancorché sia intervenuta l’irreversibile trasformazione del bene stesso per effetto della realizzazione dell’opera pubblica sul bene oggetto di illegittima apprensione”.

In proposito l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sulla scorta di una oramai consolidata giurisprudenza nazionale ed europea, ha considerato “tramontato” l’istituto, di origine pretoria, della c.d. occupazione “appropriativa” o “acquisitiva”, che determinava l’acquisizione della proprietà del fondo a favore della pubblica amministrazione per “accessione invertita”, allorché si fosse verificata l’irreversibile trasformazione dell’area (Cons. Stato, Ad.Plen. n. 2/2020).

Ricorda la Plenaria che “l’istituto, che pure rispondeva, nel silenzio della legge, all’esigenza pratica e sistematica di definire l’assetto proprietario di un bene illegittimamente occupato e il conseguente assetto degli interessi, risultava peraltro evidentemente privo di base legale ed è stato pertanto ritenuto illegittimo dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la conseguenza che, attualmente, il mero fatto dell’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non assurge a titolo di acquisto, non determina il trasferimento della proprietà e non fa venire meno l’obbligo dell’Amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso”.

L’Adunanza Plenaria, nella pronuncia innanzi indicata, si è espressa anche in merito alla “rinuncia abdicativa” quale atto implicito, derivante dalla proposizione, da parte di un privato illegittimamente espropriato, della domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario in conseguenza dell’illecito permanente costituito dall’occupazione di un suolo da parte della P.A., a fronte della irreversibile trasformazione del fondo.

L’Adunanza Plenaria ha ritenuto che “la “rinuncia abdicativa” presenti gli stessi inconvenienti insiti nella ormai superata teoria dell’accessione invertita che sta alla base dell’istituto pretorio dell’occupazione acquisitiva, rilevando che nessuna norma attribuisce al soggetto espropriato, pur a fronte dell’illegittimità del titolo espropriativo, un diritto, sostanzialmente potestativo, di determinare l’attribuzione della proprietà all’amministrazione espropriante previa corresponsione del risarcimento del danno e osservando, più precisamente, che l’art. 42 bis T.U. espr. “non può che escludere che la sorte del bene sia decisa dal proprietario e che l’Autorità acquisti coattivamente il bene, sol perché il proprietario dichiari di averlo perso o di volerlo perdere, o di volere il controvalore del bene. Come se il proprietario del bene fosse titolare di una sorta di diritto potestativo a imporre il trasferimento della proprietà, mediante rinuncia al bene (implicita o esplicita che sia), previa corresponsione del suo controvalore (non rileva, sotto questo profilo, se a titolo risarcitorio o indennitario)”.

Alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza, deve quindi ritenersi che:

a) va escluso che l’irreversibile trasformazione dell’immobile di proprietà del cittadinoad opera del Comune durante il periodo di occupazione abbia potuto determinare l’acquisizione dello stesso alla mano pubblica “per accessione” o in virtù di “rinuncia abdicativa”, all’uopo occorrendo invece un apposito ed espresso provvedimento di acquisizione da adottare ai sensi del menzionato art. 42 bis T.U. espr.;

b) continua a sussistere l’obbligo dell’Amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso nel medesimo stato in cui questo si trovava al tempo in cui è avvenuta l’occupazione.

In merito ai profili risarcitori, la P.A. è obbligata al risarcimento del danno derivante dal mancato godimento della proprietà per tutto il periodo di occupazione sine titulo, corrispondente al tempo intercorso data di scadenza dell’efficacia dell’occupazione temporanea fino alla data di cessazione dell’illecito.

Quanto ai criteri di quantificazione del risarcimento, il Tar Palermo (sent. 17/2022) ha precisato che: “appare equo quale criterio di calcolo, in applicazione analogica di quello dettato dal precitato art. 42 bis, il 5% del valore venale dei terreni in questione individuato per ciascun anno di occupazione”.

Ed ancora, “in mancanza di specifici criteri di legge, ritiene la giurisprudenza che il giudice possa utilizzare un parametro ritenuto congruo (Cass. Civ., Sez. I, 20 novembre 2018, n. 29990) rinvenibile nel criterio di cui all’art. 42 bis, co. 3, del d.P.R. n. 327/2001 suscettibile di applicazione analogica in quanto espressione di un principio generale (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 8 ottobre 2018, n. 5829 T.A.R. Firenze, Sez. III, 29 novembre 2013, n. 1655; T.A.R. Potenza, Sez. I, 7 marzo 2014, n. 182).Pertanto, nel caso di specie, tale danno, in mancanza di più puntuali determinazioni, può liquidarsi applicando il criterio di cui all’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001, previsto per l’indennità di occupazione legittima (cfr. C.G.A.R.S., sez. giur., 9 febbraio 2012, n. 392), secondo cui “Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma” (Tar Palermo sent. 38/2022).

In conclusione, quanto alla determinazione del valore venale del bene, da valutarsi unicamente per definire il parametro per la determinazione del danno patrimoniale da illegittima occupazione (pari al 5% annuo), l’ente comunale intimato dovrà, tenuto conto della destinazione urbanistica dell’area:

a) utilizzare il metodo di stima diretta (o sintetica), che consiste nella determinazione del più probabile valore di mercato di un bene mediante la comparazione di valori di beni della stessa tipologia di quello oggetto di stima (atti di compravendita di terreni finitimi e simili);

b) trattandosi di debito di valore, rivalutare – applicando indici di rivalutazione dei prezzi al consumo ISTAT-FOI – la predetta somma fino alla data di liquidazione;

c) aggiungere, sulla somma annualmente rivalutata, fino alla data di definitiva liquidazione, gli interessi al tasso legale di natura compensativa (Cass. Civ, Sez. Un., 17 febbraio 1995, n. 1712).

Per quanto riguarda la possibilità che l’area esproprianda, occupata illegittimamente dalla P.A., venga usucapita, occorre evidenziare quanto segue.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale:

– “…se l’area espropriandaviene occupata illegittimamente (ed a maggior ragione se viene occupata “sine titulo”) si perfeziona un c.d. “illecito permanente”; con la conseguenza che, fino a quando esso perdura, il termine per l’usucapione (a favore dell’occupante) non inizia a decorrere (C.S., IV^, 30.1.2017 n.4106; Id., 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988);

– che la prima, ma non unica ragione, per la quale l’usucapibilità di beni illecitamente occupati dall’Amministrazione non appare ammissibile, “fa capo all’orientamento secondo il quale in tema di tutela possessoria, ricorre lo ‘spoglio violento’ anche in ipotesi di privazione dell’altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trovi il possessore, eseguita contro la volontà, sia pure soltanto presunta, di quest’ultimo, sussistendo la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, e senza che rilevi in senso contrario il semplice silenzio, in quanto circostanza di per sé equivoca, e non interpretabile come espressione di “acquiescenza”, alla luce dell’ampia nozione di violenza del possesso elaborata dalla giurisprudenza (ex multis: Cass. Civ., II^, 7.12.2012 n. 22174)”; dovendosi cosi escludere che la semplice “detenzione” possa essere mutata in “possesso ad usucapionem” (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988);

– che la seconda ragione dell’inammissibilità dell’usucapione da parte (ed in favore) della P.A. nel caso in cui essa abbia occupato illegittimamente un’area privata, deriva dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ha costantemente affermato (Sez. II^, 30.5.2000, causa n.31524/96, Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia; Sez. III^, 12.1.2006, causa n.14793/2002, Sciarrotta c. Italia), “la non conformità alla Convenzione (…), dell’istituto della c.d. “espropriazione indiretta o larvata”; e quindi di alternative all’acquisizione in proprietà che non siano rappresentate dal decreto di espropriazione, ovvero dal contratto tra le parti”; dal che l’affermazione della giurisprudenza amministrativa (C.S., IV^, 3.7.2014 n.3346; Id., 26.8.2015 n.3988) secondo cui occorre prendere definitivamente atto che la C.E.D.U. “non consente … che l’apprensione materiale del bene da parte dell’Amministrazione possa considerarsi legittima al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante (art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001)…” (cfr. C.G.A., sez. giur., 18 aprile 2018, n. 229).

Avv. Antonino Cannizzo

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Antonio Cannizzo

Di Antonio Cannizzo

Nasce a Palermo nel 1987 e dopo la maturità Classica si laurea nel 2014 presso l’università degli studi di Palermo, presentando una tesi dal titolo “Le misure precautelari minorili”. Abilitato all’esercizio della professione di Avvocato è regolarmente iscritto all’Albo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Termini Imerese ed è Titolare di uno Studio Legale in Bagheria. Nel 2020, insieme all'Avv. Fiasconaro, fonda il blog "Urbanistica in Sicilia". Nel 2021 consegue un master di 1° livello in diritto urbanistico discutendo una tesi dal titolo "Danno da affidamento procedimentale e i profili di giurisdizione".