Il Tar Palermo (con sentenza n. 2453 del 2023) ha affrontato il rapporto tra la pianificazione urbanistica generale e il piano regolatore portuale, in un Comune (Cefalù) in cui il porto di Presidiana è privo di quest’ultimo.
Fino al 1967, le aree portuali − così come ogni area ricadente nel demanio marittimo appartenente allo Stato – non erano soggette alle prescrizioni del piano regolatore comunale.
Soltanto a partire dalla legge ponte n. 765 del 1967, il Comune ha assunto la competenza pianificatoria anche in relazione alle aree portuali (come si ricava dalla modifica apportata all’art. 31, comma 2, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo cui: «[p]er le opere da eseguire su terreni demaniali, compreso il demanio marittimo, ad eccezione delle opere destinate alla difesa nazionale, compete all’Amministrazione dei lavori pubblici, d’intesa con le Amministrazioni interessate e sentito il Comune, accertare che le opere stesse non siano in contrasto con le prescrizioni del piano regolatore generale o del regolamento edilizio vigente nel territorio comunale in cui esse ricadono»).
Nella predetta fase storica, i piani portuali contemplati dalla legislazione di settore allora vigente ‒ in particolare la legge 20 agosto 1921, n. 1177 (recante provvedimenti contro la disoccupazione) e la legge 3 novembre 1961, n. 1246 (Norme relative ai piani regolatori dei porti di 2ª e 3ª classe della seconda categoria) ‒ costituivano soltanto strumenti di programmazione delle infrastrutture strumentali allo svolgimento delle attività del porto, erano cioè piani di “opere”.
La successiva assunzione da parte delle Regioni del potere di approvazione dei piani regolatori generali adottati dai comuni, ha fatto sorgere l’esigenza di introdurre un nuovo dispositivo di composizione degli interessi statuali e locali, esigenza alla quale ha cercato di rispondere la legge n. 84 del 1994, attraverso la creazione di Piani Regolatori Portuali di nuovo conio.
Le Autorità portuali ‒ accanto alle funzioni di regolazione dei servizi portuali, prima gestiti in forma di monopolio pubblico, e ora, con la legge del 1994, aperti all’iniziativa economica privata ‒ adottano ora un Piano Regolatore Portuale, avente lo scopo di delimitare «l’assetto complessivo del porto, ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie», delineandone «le caratteristiche e la destinazione funzionale», atteggiandosi a strumento di pianificazione territoriale, per quanto limitato all’area portuale…” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 dicembre 2020 n. 8356);
Il PRP è definito, infatti, “piano territoriale di rilevanza statale che rappresenta l’unico strumento di pianificazione e di governo del territorio nel proprio perimetro di competenza” (art. 4, comma 1-septies, lettera b, del D.L. n. 121 del 2021 nella parte in cui riformula l’art. 5, comma 2-ter, della L. n. 84 del 1994), e nella pianificazione di tale perimetro (aree portuali e retro-portuali) ha “esclusiva competenza” l’Autorità di sistema (art. 4, comma 1-septies, lettera a, del D.L. n. 121 del 2021, come convertito, nella parte in cui riformula l’art. 5, comma 1-quinquies, della L. n. 84 del 1994 primo periodo), che come detto, acquisisce il solo parere di regione e comune sulla coerenza con la pianificazione delle aree contigue…” (v. Corte Costituzionale, sentenza 26 gennaio 2023, n. 6);
Le novellate disposizioni prevedono che “la pianificazione delle aree portuali e retro-portuali è competenza esclusiva dell’Autorità di sistema portuale” (art. 5, comma 1-quinquies), che “Il PRP è un piano territoriale di rilevanza statale e rappresenta l’unico strumento di pianificazione e di governo del territorio nel proprio perimetro di competenza” (art. 5, comma 2-ter) e che la valutazione consultiva regionale e comunale su di esso sia di mera coerenza con le previsioni degli strumenti urbanistici (per le sole aree di cerniera tra il porto e la città) (art. 5, comma 2-bis, lettera b).
Esse, tanto singolarmente quanto nel loro complesso, effettivamente, assegnano preminenza al PRP nel suo rapporto con i piani urbanistici generali.
Ciò, peraltro, non fa che riportare il piano regolatore portuale al generale principio urbanistico della prevalenza dei piani settoriali, quali piani funzionalmente finalizzati, su quelli generali. Il PRP, infatti, deve dare speciale disciplina al territorio portuale in quanto preordinato alla tutela dello specifico interesse pubblico al corretto svolgimento e allo sviluppo del traffico marittimo nazionale e internazionale.
Il legislatore con tali disposizioni ha, quindi, corretto l’originaria distonia della previgente subordinazione del piano regolatore portuale al piano regolatore generale, in coerenza con quanto già ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 408 del 1995, secondo cui la regola della prevalenza dei piani settoriali è principio fondamentale della materia urbanistica; e tale assunto va ora confermato anche con riferimento alla materia “porti … civili”… (cfr. Corte Cost. n. 6/2023 cit.).
Emerge quindi dalla normativa statale, come da ultimo modificata, una indubbia prevalenza del Piano Regolatore Portuale, quale piano settoriale, sulla pianificazione generale, ma naturalmente se esistente; diversamente – e in assenza della pianificazione di settore – deve trovare applicazione la regolazione generale dell’ente locale.
Accedere alla tesi alternativa si sostanzierebbe nell’assenza di regolamentazione, in un vuoto di disciplina afferente l’uso del territorio, pur in presenza di un P.R.G. vigente, senza neppure parametri edilizi ai quali fare riferimento per l’esplicazione dell’attività privata.
Per quanto attiene, poi, all’obbligatorietà del permesso di costruire (già licenza edilizia) anche sulle aree demaniali (in genere), va richiamato l’art. 8 del d.P.R. n. 380/2001, in ordine al cui contenuto è stato osservato che “…per effetto della c.d. “legge ponte”, non solo in tutto il territorio di ogni Comune è stato introdotto l’obbligo di costruire esclusivamente in forza di un titolo edilizio all’epoca denominato “licenza edilizia” e rilasciato dal Sindaco ovvero dall’assessore da lui delegato, ma con il nuovo terzo comma di tale articolo è stato altrettanto inequivocabilmente disposto che “per le opere da costruirsi da privati su aree demaniali deve essere richiesta sempre la licenza del sindaco”.
Tale ultima disposizione è stata da ultimo inserita anche all’art. 8 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001, coordinandola nel suo contenuto con l’attuale contesto ordinamentale della materia.
In tal modo, quindi, anche le costruzioni realizzate nel demanio marittimo sono stato incluse nell’ambito delle funzioni amministrative in materia di edilizia esercitate dalle amministrazioni comunali, e in conseguenza di ciò chi intende ivi realizzare costruzioni deve munirsi sia del competente titolo edilizio rilasciato dall’Amministrazione comunale, sia della concomitante autorizzazione rilasciata, a’ sensi dell’art. 54 c.n., dall’Autorità preposta alla gestione del demanio marittimo, la quale valuta in tal senso la compatibilità dell’opera che il privato intende realizzare rispetto alle necessità dell’uso pubblico del mare.
In dipendenza di tutto quanto sopra la giurisprudenza ha già da tempo avuto modo di evidenziare che “la necessità dell’apposito titolo edilizio per le opere da eseguirsi dai privati su aree demaniali era ed è espressamente prevista dall’art. 8, d.P.R. n. 380 del 2001 (riproducente il contenuto dell’art. 31, comma 3, della l. n. 1150 del 1942, nel testo sostituito dall’art. 10 della l. n. 765 del 1967, nonché implicitamente riconosciuta dall’art. 55, comma 4, codice della navigazione (nella parte richiamante i piani regolatori comunali in materia di nuove opere in prossimità del demanio marittimo). Per la realizzazione di opere sul demanio marittimo occorre l’autorizzazione prevista dall’art. 54, cod. nav., anche dopo la delega alle Regioni in materia di demanio marittimo ed il trasferimento ai comuni delle competenze per il rilascio di concessioni demaniali, atteso che tale trasferimento di competenze non ha fatto venir meno la necessità di apposita e specifica autorizzazione, che concorre con la concessione edilizia, sussistendo due diverse finalità di tutela: la riserva all’ente locale del governo e dello sviluppo del territorio in materia di edilizia relativamente alla concessione ad edificare, la salvaguardia degli interessi pubblici connessi al demanio marittimo per quanto attiene all’autorizzazione demaniale”…” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 8 maggio 2020, n. 2906, richiamata da T.A.R. Sicilia, Sez. II, 21 marzo 2023, n. 900; Cass. pen., Sez. III, 4 febbraio 2014, n. 5461).
Applicando i su esposti principi al caso esaminato, Il Tar ha osservato che l’area in interesse è contemplata solo dal vigente P.R.G., in quanto è incontestato che per il Porto di Presidiana non vi sia un Piano Regolatore Portuale; sicché, in assenza di una pianificazione di settore dell’area, l’unica disciplina di riferimento è il P.R.G. del Comune – espressione di un permanente e concomitante potere-dovere di governo e uso del territorio – il quale non prevede in quell’area alcuna possibilità di svolgere attività edilizia.
D’altro canto, i due poteri perseguono due diverse finalità di tutela: l’uno, quello dell’ente locale, appunto di governo e uso ordinato del territorio; l’altro, quello dell’autorità portuale, di tutela di interessi pubblici connessi al demanio marittimo (portuale).
Pertanto – fermo il persistente potere-dovere dell’ente locale di esercitare un controllo sull’attività edilizia, anche in area demaniale – la tesi secondo cui in assenza del P.R.P. l’attività del privato sarebbe completamente libera si pone in distonia con il perdurante potere generale dell’ente locale, di governo e uso del territorio, al quale è inevitabilmente connesso il potere-dovere di inibire eventuali attività non coerenti (o non previste) con la pianificazione urbanistica di livello comunale.
Avv. Vittorio Fiasconaro
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