La prescrizione della indennità pecuniaria paesaggistica

Con la Sentenza n. 95 del 2021 il C.g.a. ha chiarito quali sono i tempi e qual è la decorrenza della prescrizione in relazione alle sanzioni pecuniarie paesaggistiche previste dall’art. 167 del Codice dei Beni Culturali.

La norma così dispone:

“Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima.”

In ordine alla natura di tale dovere di pagamento, la giurisprudenza ha seguito nel tempo due tesi.

Secondo alcune pronunce la disposizione di cui all’art. 167 rientrerebbe tra le sanzioni amministrative. In tal senso la sanzione non avrebbe natura risarcitoria e sarebbe dunque applicabile a prescindere dal danno ambientale effettivamente arrecato. Ne deriverebbe l’applicazione dell’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689 il quale prevede una prescrizione di 5 anni decorrente “dal giorno in cui è stata commessa la violazione”.

Secondo altre pronunce, sarebbe corretta la tesi della natura “risarcitoria ripristinatoria” della fattispecie in esame, e purtuttavia, si ritiene comunque applicabile l’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689 in quanto detta sanzione è determinata in una somma pecuniaria.

Più di recente, si è diffusa una tesi secondo la quale l’obbligazione prevista ex art. 167 citato abbia natura risarcitoria-ripristinatoria od indennitaria, ed alla stessa non possano applicarsi i precetti di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.

Premessa la ricostruzione del quadro esposto, il C.g.a. chiarisce come – in fin dei conti – qualunque tesi si intenda seguire, la prescrizione è comunque quinquennale.

Anche volendo ipotizzare l’inapplicabilità della legge 24 novembre 1981 n. 689 e accettando la tesi sulla natura di sanzione riparatoria alternativa al ripristino dello status quo ante, essa troverebbe la propria ragione giustificatrice in un fatto antigiuridico, che riposa nella lesione inferta al paesaggio.

Si andrebbe a rientrare cioè nello schema tipico dell’art. 2043 del codice civile che dovrebbe condurre al ripristino previa demolizione; ma che non sfocia in tale evento a causa della deliberazione ampiamente discrezionale di compatibilità resa dall’Autorità preposta al vincolo. Ora, detto fatto illecito, verrebbe, di norma, sanzionato in via reipersecutoria (id est: ripristino); ma se il ripristino non ha luogo, allora viene disposto il pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.

Una volta che la competente amministrazione abbia deliberato la compatibilità, inizierebbe a prescriversi il diritto della stessa a pretendere il pagamento della somma suddetta.

A tal riguardo il C.g.a. fa presente di non condividere la ricostruzione per cui – in virtù di una sorta di illecito permanente – la prescrizione venga a decorrere solo dal momento in cui venga formalmente quantificata la sanzione. Questa tesi infatti giunge all’assurdo logico di una obbligazione che non si prescrive mai:

a) non prima della valutazione di compatibilità paesaggistica

b) non dopo quest’ultima e prima della determinazione del quantum debeatur (perché prima di tale quantificazione il privato non sarebbe neppure edotto –ancora- della somma che dovrebbe pagare); e ciò comporterebbe che il privato resti assoggettato sine die a tale obbligo;

c) ma neppure, allorchè fosse avvenuta la quantificazione, laddove questi abbia provveduto ad impugnarla.

Ora, nell’ipotesi in cui la richiesta di nulla osta rivolta alla Soprintendenza si inserisca in una vicenda condonistica, il provvedimento espresso di nulla osta (e quindi di compatibilità dell’abuso con il paesaggio) o il silenzio assenso formatosi, ed anche l’eventuale contestuale determinazione discrezionale della somma dovuta dal privato non integrerebbero (ancora) il dies a quo a partire dal quale inizierebbe a maturare la prescrizione della pretesa pecuniaria avanzata ex art. 167 citato. Sulla richiesta di condono dovrebbe pronunciarsi il comune, e lo stesso potrebbe denegarlo per le più diverse ragioni, non afferenti al vincolo paesaggistico insistente sula area; ragion per cui fino a che non sia stato rilasciato il permesso di costruire in sanatoria non potrebbe iniziare a prescriversi la pretesa.

E questo perché fino al momento in cui il Comune non concede la sanatoria, il privato non è in grado di conoscere se effettivamente potrà mantenere l’immobile, ovvero, (pur a seguito della favorevole delibazione dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo) non dovrà invece demolirlo perché il comune riterrà di non concedere la sanatoria (ed a questo punto nulla sarebbe dovuto, neppure ex art. 167 del d.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 429). La prescrizione dunque non potrebbe decorrere, in virtù di quanto disposto dall’art. 2935 del Codice Civile.

L’Amministrazione dovrà invece richiedere la somma al privato nel termine prescrizionale decorrente dal provvedimento comunale di rilascio del permesso in sanatoria, in forza del quale viene acclarato il “diritto” del privato a mantenere il bene.

In situazioni di questo tipo, sarebbe auspicabile – secondo i Giudici – che l’Autorità provveda immediatamente a quantificare la somma dovuta ex art. 167 in modo da mettere l’interessato in condizione di comprendere l’effettiva convenienza di una sanatoria.

E laddove ciò non avvenga il privato (che ha diritto a conoscere preventivamente il costo globale della procedura di condono) potrà presentare apposita richiesta ed attivare la procedura del silenzio-inadempimento dinanzi al competente Tar.

E dunque

a) sino al momento del rilascio del permesso di costruire in sanatoria nessun termine prescrizionale della pretesa ex art. 167 può decorrere;

b) lo stesso inizia a decorrere a partire dall’avvenuto rilascio del condono.

Laddove infine, nei casi normati dall’art. 25 della legge regionale della Sicilia del 10 agosto 2016 n. 16 nella parte in cui richiama l’articolo 182, comma 3 bis, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, (caso cioè in cui il nulla osta della Soprintendenza ed annesso, discrezionale, giudizio di compatibilità sopravvenga al provvedimento di concessione in sanatoria) il dies a quo di maturazione della prescrizione non potrebbe che coincidere con l’esercizio della valutazione da parte dell’Autorità preposta al vincolo paesaggistico.

Vittorio Fiasconaro

Di Vittorio Fiasconaro

Laureato nel 1991, consegue il dottorato di ricerca in Filosofia del Diritto nel 1997. Nel 1994 si iscrive all’Albo. Dal 1996 al 2007 dirige, dopo aver vinto il concorso, l’Ufficio Legale del Comune di Pantelleria (TP) e poi quello del Comune di Bagheria (PA). Dal 2004 al 2011 insegna Diritto Amministrativo e Diritto Processuale Amministrativo alla Scuola Sant’Alfonso di Palermo. Nel 2009 si iscrive all’Albo degli avvocati esercenti innanzi alla Corte di Cassazione. Oggi fa parte del Foro di Termini Imerese. Ha al suo attivo centinaia di giudizi in cui si e’ costituito dinanzi alla Giurisdizione Amministrativa.