Regolamento Tipo Edilizio Unico in Sicilia: cosa c’è che non va

Pantelleria - Foto di Emilia Machì

Come è noto, nel Supplemento ordinario n. 1 alla G.u.r.s. n. 26 del 3 giugno 2022 è stato pubblicato il Decreto Presidenziale n. 531 del 20 maggio 2022 che ha approvato il Regolamento tipo edilizio unico, fissando il termine di 120 giorni dalla pubblicazione affinché i Comuni lo adottino.

La questione che intendiamo affrontare riguarda proprio tale dovere di adozione: l’art. 99 comma 5 del Decreto ha infatti stabilito che, ove un Comune non abbia approvato entro detto termine un Regolamento mutuato su quello tipo, si determina l’effetto per cui le disposizioni del Decreto Presidenziale prevalgono sulle norme dei regolamenti edilizi comunali.

A nostro giudizio, tale norma è illegittima.

Per comprendere il fondamento di questa tesi, si deve partire dalla natura del Regolamento Tipo.

A dispetto del nome utilizzato, non è un Regolamento. Ciò si desume da diversi elementi:

a) per la sua adozione il Presidente della Regione non ha acquisito il parere preventivo del C.g.a. che sarebbe stato altrimenti obbligatorio

b) ai sensi della previsione del Testo unico delle leggi sull’ordinamento del Governo e dell’Amministrazione della Regione Siciliana, approvato con D. P. Reg. 28 febbraio 1979 n. 70, alla rubrica “Ufficio legislativo e legale” dell’art. 7, si prevede esplicitamente l’Esame degli schemi di regolamento da sottoporre al Consiglio di Giustizia Amministrativa. Ma di tale esame non c’è traccia nelle premesse sia del Decreto Presidenziale sia della Delibera di Giunta Regionale

c) quest’ultima poi non ha “approvato” il Regolamento per come avrebbe dovuto ma ha solo manifestato “apprezzamento”.

Di che si tratta dunque ?

Occorre partire dalla norma che lo ha previsto e dalla normativa nazionale ispiratrice.

L’art. 2 della legge regionale n.16/2016 ha disposto che il Presidente della Regione, su proposta dell’Assessore regionale per il territorio e l’ambiente, emani un decreto recante un regolamento tipo edilizio unico che contenga la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al prospetto delle normative tecnico-estetiche, igienico sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle relative pertinenze; i Comuni, ai sensi del comma 2 del predetto art. 2, possono, con apposita deliberazione del Consiglio Comunale, apportare integrazioni al fine di adattare il regolamento tipo edilizio unico alle specifiche caratteristiche locali e, ai sensi dell’art. 29 della richiamata legge regionale n. 19/2020, gli stessi Comuni, sono tenuti ad adottare il regolamento di che trattasi, il quale, approvato separatamente dal piano urbanistico comunale, ne costituisce parte integrante.

La norma dunque non prevede in alcun modo che tale Regolamento Tipo possa sostituirsi automaticamente al previgente Regolamento edilizio comunale che non sia stato adeguato entro 120 giorni dalla pubblicazione del Decreto in G.u.r.s. . Viene stabilito soltanto un onere di adozione a carico degli Enti locali.

Non solo: se il Regolamento Tipo non è un Regolamento nel senso proprio del termine, non può sostituirsi ad un vero Regolamento quale quello edilizio di ogni Comune; e ciò in base alle regole sulle fonti giuridiche in vigore nel nostro Ordinamento.

Ma ci sono altri argomenti.

L’idea del Regolamento tipo edilizio è stata introdotta da una Intesa tra il Governo Nazionale, le Regioni e i Comuni in sede di Conferenza Unificata, adottata nella seduta del 20 ottobre 2016 da cui è scaturita l’adozione del Regolamento Edilizio Tipo a livello nazionale. Il cui articolo 2 aveva comunque fatta salva la competenza dell’Ente Locale per l’adeguamento degli strumenti di pianificazione territoriale. E la sentenza della Corte Costituzionale n. 125 del 2017 aveva osservato che il regolamento-tipo non ha alcun contenuto innovativo della disciplina dell’edilizia ma svolge una funzione di raccordo e coordinamento meramente tecnico e redazionale; e proprio la natura essenzialmente tecnica dello schema di regolamento tipo è uno dei rilievi che risultano decisivi per respingere le questioni di legittimità costituzionale dedotte sotto il profilo della violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., che riconosce allo Stato la potestà regolamentare solo nelle materie di legislazione esclusiva. E ciò nel senso che, quando la scelta del legislatore richieda particolari competenze tecniche, è ammissibile il rinvio ad atti integrativi (qui: l’intesa Stato-Regioni) che non costituiscono una norma di dettaglio (che in quanto tale sarebbe invasiva delle competenze concorrenti regionali), bensì una sorta di estensione dei principi fondamentali della materia. E ciò perché la predisposizione del RET corrisponde all’esigenza di raggiungere una uniformità semantica in un ambito tecnico segnato da frequenti oscillazioni lessicali. Siamo dunque di fronte ad una operazione di standardizzazione definitoria, il cui impatto concreto non può eccedere i limiti che si sono consapevolmente dati gli autori della nuova normativa.

Pertanto (statuisce la Corte) , alla luce dell’intrinseco limite di efficacia delle definizioni recate dal RET, non può sostenersi che, allorquando il Comune sia inadempiente rispetto al termine per l’adeguamento del proprio REC, le previsioni del RET varrebbero in tutto e per tutto e potrebbero direttamente incidere anche sulle previsioni dimensionali di piano. In mancanza di una espressa previsione nella normativa di settore, non è possibile ritenere che il mancato rispetto di un termine (quello fissato al Comune per l’adeguamento del proprio Regolamento edilizio), che sembra chiaramente ordinatorio, possa avere effetti così radicalmente eversivi sulla autonomia pianificatoria degli enti locali.

Facendo perno su quanto chiarito dalla Corte Costituzionale, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1339 del 2021 è partito dalla natura strettamente tecnica e dalla finalità di omogeneizzazione semantica e standardizzazione definitoria sottesa alla adozione nazionale del Regolamento Tipo, per affermare che tali elementi ostano ad un’esegesi che consenta di alterare in toto l’attuale riparto delle competenze in materia urbanistica, determinando la sostanziale soppressione dei poteri istituzionali dei Comuni a seguito del mero mancato rispetto di un termine.

Più indietro nel tempo, la sentenza della Corte Costituzionale n. 246 del 2006 aveva (pur se in materia diversa) fissato un principio importante, che ci sembra rilevante per questo caso. Era stato stabilito infatti che se il legislatore regionale nell’ambito delle proprie materie legislative dispone discrezionalmente delle attribuzioni di funzioni amministrative agli enti locali, ulteriori rispetto alle loro funzioni fondamentali, anche in considerazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma dell’art. 118 della Costituzione, non può contestualmente pretendere di affidare ad un organo della Regione la potestà regolamentare propria dei Comuni in riferimento a quanto attribuito loro dalla legge regionale medesima. Nei limiti, infatti, delle funzioni attribuite dalla legge regionale agli enti locali, solo quest’ultimi possono – come espressamente affermato nell’ultimo periodo del sesto comma dell’art. 117 Cost. – adottare i regolamenti relativi all’organizzazione ed all’esercizio delle funzioni loro affidate dalla Regione.

In definitiva, la previsione dell’art. 99 comma 5 del Decreto Presidenziale (che ha disposto la sostituzione automatica) non trova alcun fondamento giuridico nelle norme primarie che ne hanno disciplinato l’introduzione.

Essa è dunque illegittima, ed in quanto tale impugnabile dinanzi al Tar.

In quali casi ciò può essere fatto ?

La situazione è quella in cui il Comune venga a bocciare (dopo il 2 ottobre 2022) una istanza di permesso di costruire (o altro titolo edilizio) sulla base sia del contrasto tra il progetto e qualche disposizione contenuta nel Regolamento Tipo sia della ritenuta disapplicazione del Regolamento edilizio pregresso ancora non adeguato.

Se il Regolamento edilizio comunale avesse invece consentito l’operazione edilizia, sarà possibile impugnare il diniego comunale sostenendo la illegittimità della applicazione immediata del Regolamento Tipo per le ragioni esposte.

Avv. Vittorio Fiasconaro


Vittorio Fiasconaro

Di Vittorio Fiasconaro

Laureato nel 1991, consegue il dottorato di ricerca in Filosofia del Diritto nel 1997. Nel 1994 si iscrive all’Albo. Dal 1996 al 2007 dirige, dopo aver vinto il concorso, l’Ufficio Legale del Comune di Pantelleria (TP) e poi quello del Comune di Bagheria (PA). Dal 2004 al 2011 insegna Diritto Amministrativo e Diritto Processuale Amministrativo alla Scuola Sant’Alfonso di Palermo. Nel 2009 si iscrive all’Albo degli avvocati esercenti innanzi alla Corte di Cassazione. Oggi fa parte del Foro di Termini Imerese. Ha al suo attivo centinaia di giudizi in cui si e’ costituito dinanzi alla Giurisdizione Amministrativa.