1. Prescrizione sanzione paesaggistica.
“In relazione alla prescrizione non è al momento del pagamento effettivo che deve guardarsi, ma semmai al momento deliberativo in cui l’Autorità preposta stabilisce la compatibilità dell’intervento e “sostituisce” il ripristino con l’obbligo di pagare la somma da essa determinata, a cagione della affermata possibilità del privato di mantenere il bene pur illegittimamente realizzato.
In altri termini, sino al momento del rilascio del permesso di costruire in sanatoria nessun termine prescrizionale della pretesa ex art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 può decorrere; lo stesso inizia a decorrere a partire dall’avvenuto rilascio del condono.”
Questo è in sintesi il principio di diritto espresso dal Tar Catania nella sentenza n. 3422 del 22 novembre 2021.
2. Riferimento normativo.
Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, all’art. 167, comma 5, prevede che:
– “Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell’articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma”.
3. Analisi giurisprudenziale.
Di recente il Giudice d’appello (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., sez. giur., 9 febbraio 2021, n. 95), in merito alla disciplina dettata dall’art. 167, comma 5, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e segnatamente in relazione alla natura della fattispecie disciplinata dalla richiamata previsione normativa, ha chiarito quanto segue:
– parte della giurisprudenza ha evidenziato che la stessa si ascrive nel novero delle sanzioni amministrative; detta tesi, si fonda principalmente sulla considerazione che tanto l’art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (antesignano storico della disposizione in esame) quanto il successivo art. 164 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 facevano riferimento al concetto di “indennità” (e non di sanzione) e si riferivano al “trasgressore” mentre sub art. 167, comma 5, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 si esplicita la nozione di “sanzione”. Tale disposizione, quindi, non avrebbe natura risarcitoria ma di sanzione amministrativa applicabile a prescindere dal danno ambientale effettivamente arrecato (tesi che ritiene l’applicabilità del principio ex art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689, manifestando tuttavia qualche difformità di vedute circa l’exordium praescriptionis);
– secondo diversa prospettazione, va riconosciuta natura “risarcitoria ripristinatoria” alla fattispecie in esame; purtuttavia, si ritiene in punto di prescrizione pur sempre applicabile l’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689, trattandosi comunque di una somma pecuniaria;
– più di recente ha trovato affermazione una linea di tendenza secondo cui all’obbligazione prevista dall’art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, di natura risarcitoria-ripristinatoria od indennitaria, non possono applicarsi i precetti di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689. Ad avviso di tale approccio interpretativo, posto che alle sanzioni pecuniarie sostitutive di una misura ripristinatoria di carattere reale non si applica la legge 24 novembre 1981, n. 689, una volta riconosciuta tale natura a quella ex art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 deve escludersi che i precetti di cui alla citata legge generale sulle sanzioni amministrative possano trovare applicazione a tal riguardo (con conseguente inapplicabilità del citato art. 28).
4. Natura della sanzione.
La natura di sanzione riparatoria alternativa al ripristino dello status quo ante della disposizione di cui all’art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 troverebbe la propria ragione giustificatrice in un fatto antigiuridico, che riposa nella lesione inferta al paesaggio e che trova la propria forza legittimante nel versari in re illicita.
Si muoverebbe, cioè da un fatto illecito “a monte” formale o sostanziale, riconducibile allo schema tipico dell’art. 2043 cod. civ., che dovrebbe condurre al ripristino previa demolizione e che non sfocia in tale evento a cagione della deliberazione latamente discrezionale di compatibilità resa dall’Autorità preposta al vincolo; detto fatto illecito verrebbe, di norma, sanzionato in via reipersecutoria (id est: ripristino), ma se il ripristino non ha luogo (laddove “venga accertata la compatibilità paesaggistica”) allora il ripristino avverrebbe mercé il “pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione”.
In relazione alla prescrizione, secondo detta ricostruzione, non è al momento del pagamento effettivo che deve guardarsi, ma semmai al momento deliberativo in cui l’Autorità preposta stabilisce la compatibilità dell’intervento e “sostituisce” il ripristino con l’obbligo di pagare la somma da essa determinata, a cagione della affermata possibilità del privato di mantenere il bene pur illegittimamente realizzato.
5. Sulla qualificazione giuridica della sanzione. La posizione del CGA.
Il CGA, nella sentenza n. 95/2021, ha ritenuto irrilevante immorare sulle problematiche concernenti la qualificazione giuridica della fattispecie ex art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sviluppando tuttavia alcune considerazioni, di centrale rilevanza, e in particolare:
– sia che si voglia concordare con la tesi secondo cui la disposizione ex art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 trovi la propria disciplina nella legge 24 novembre 1981, n. 689, sia che la si consideri “ripristinatoria” e quindi affrancata dal regime di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, considerando che la ridetta “sanzione” è sostitutiva del ripristino, alla prima non potrebbe darsi corso laddove, al contempo, abbia contemporaneamente luogo la previsione del ripristino/demolizione.
Nell’ipotesi in cui la richiesta di nulla osta rivolta alla Soprintendenza si inserisca in una vicenda condonistica, il provvedimento espresso di nulla osta o il silenzio assenso formatosi, ed anche l’eventuale contestuale determinazione discrezionale della somma dovuta dal privato non integrerebbero (ancora) il dies a quo a partire dal quale inizierebbe a maturare la prescrizione della pretesa pecuniaria avanzata ex art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Tenuto conto infatti che sulla richiesta di condono dovrebbe pronunciarsi il Comune, e che lo stesso potrebbe denegarlo per le più diverse ragioni (non afferenti al vincolo paesaggistico insistente sull’area), fino a che non sia stato rilasciato il permesso di costruire in sanatoria non potrebbe iniziare a prescriversi la pretesa ex art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Invero, ipotizzare che la prescrizione decorra dalla emissione del nulla osta e della (eventuale) coeva determinazione della sanzione costituirebbe inspiegabile errore prospettico: fino al momento in cui il Comune non concede la sanatoria, il privato non è in grado di conoscere se effettivamente potrà mantenere l’immobile, ovvero, pur a seguito della favorevole delibazione dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, non dovrà invece demolirlo perché il Comune riterrà di non concedere la sanatoria.
La pretesa dell’Amministrazione non sarebbe esigibile, proprio perché sino al momento del rilascio del permesso di costruire in sanatoria non vi sarebbe neppure certezza sulla possibilità, per il richiedente, di conservare l’immobile (o di non doverlo, invece, demolire).
In altri termini, sino al momento del rilascio del permesso di costruire in sanatoria nessun termine prescrizionale della pretesa ex art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 può decorrere; lo stesso inizia a decorrere a partire dall’avvenuto rilascio del condono.
6. Maturazione della prescrizione. Il principio espresso dal Tar Catania sent. 3422/2021.
Quale che sia la tesi prescelta in punto di qualificazione giuridica dell’art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, è al momento del rilascio della concessione in sanatoria che debba farsi riferimento (in quanto successivo alla delibazione sulla compatibilità) per verificare l’avvenuta maturazione della prescrizione della pretesa avanzata dall’Amministrazione ex art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
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