Tettoie e verande in Sicilia: i chiarimenti del C.G.A.

L’art. 20 della l.r. n. 4/2003, rubricato “opere interne”, disciplina le modalità di realizzazione delle strutture precarie la cui superficie sia inferiore a 50 mq.

Si evidenzia che, fin dalla sua entrata in vigore, l’art. 20 ha suscitato un vivace dibattito giurisprudenziale.

Le cause di questo dibattito sono riconducibili ad una “poco chiara” formulazione dell’art. 20, oltre che alle oscillanti interpretazioni applicative fornite dall’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente.

Con il presente contributo si cercheranno di chiarire alcune questioni problematiche legate all’interpretazione dell’art. 20, analizzando alcuni Pareri resi dal C.G.A.R.S.

Il concetto di Precarietà

La questioni problematiche di maggior rilievo sono essenzialmente riconducibili al concetto di precarietà delle opere e alle modalità di ancoraggio al suolo delle opere stesse. 

Il concetto di precarietà è stato spesso assimilato a quello di temporaneità, in quanto, secondo parte della giurisprudenza amministrativa regionale, un’opera precaria deve necessariamente avere un utilizzo limitato nel tempo.

La seconda questione problematica, invece, riguarda il rapporto tra un’opera precaria e le modalità di costruzione e di ancoraggio al suolo. Su tale circostanza, l’art. 20, al comma 4, si limita ad affermare chele strutture precarie devono essere “realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione.”

Il Parere n. 275 del 23 ottobre 2020, emesso dal C.G.A.R.S., ha chiarito alcune delle problematiche innanzi descritte.

In particolare, il C.G.A. ha affermato che il concetto di opera precaria è legato sia alle tecniche di realizzazione delle opere che ai materiali utilizzati, ma non certamente all’utilizzo temporaneo o stagionale delle stesse.

Dunque, viene essenzialmente superato il concetto di precarietà delle opere legato all’utilizzo transitorio o provvisorio delle stesse.

Nel Parere in commento il C.G.A., richiamando una sua precedente decisione (Parere n. 105 del 1° aprile 2020), affrontata il problema della sicurezza e della stabilità di un opera precaria.

In particolare, è stato affermato che il concetto di “‘precarietà’ evidentemente non può consistere, nella mancanza di idonei “meccanismi di ancoraggio” atti a garantire la stabilità di dette strutture in situazione di sicurezza”.

Infatti, un’opera si può definire precaria in base alla “combinazione sistemica del materiale e del metodo applicativo utilizzati; combinazione che deve consentirne, almeno virtualmente (e dunque nella previsione progettuale), lo smontaggio (o comunque l’asportazione) senza “distruzione” dei componenti mobili e senza ricorso alla “demolizione” delle parti fisse alle quali sono ancorate».”

Dunque, è possibile affermare che sussista un collegamento, logico e funzionale, tra il concetto di precarietà e il concetto di sicurezza/stabilità di una struttura precaria. Infatti, se è vero che la struttura precaria deve essere facilmente rimovibile, è anche vero che deve risultare strutturalmente stabile.

Alla luce delle superiori considerazioni, è possibile affermare che un’opera si potrà definire precaria se la tecnica di realizzazione e di montaggio consenta anche la facile rimozione, senza la necessaria demolizione delle parti alla quale risulta ancorata.

In merito alle questioni legate alla sicurezza, si precisa che l’art. 20, al comma 2, prevede che “contestualmente all’inizio dei lavori il proprietario dell’unità immobiliare deve presentare al sindaco del comune nel quale ricade l’immobile una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi e il rispetto delle norme di sicurezza (…) vigenti”.

È evidente, pertanto, che la norma non introduce alcuna deroga a disposizioni diverse da quelle urbanistiche e, in particolare, a quelle in materia di sicurezza. 

Tra queste ultime rientrano, certamente, quelle che richiedono la denuncia al Genio civile o, nelle zone sismiche, la previa autorizzazione (in questo senso, è il parere CGARS, sez. riun., n. 241/2010 reso il 10 gennaio 2012).

Avv. Antonino Cannizzo

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Antonio Cannizzo

Di Antonio Cannizzo

Nasce a Palermo nel 1987 e dopo la maturità Classica si laurea nel 2014 presso l’università degli studi di Palermo, presentando una tesi dal titolo “Le misure precautelari minorili”. Abilitato all’esercizio della professione di Avvocato è regolarmente iscritto all’Albo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Termini Imerese ed è Titolare di uno Studio Legale in Bagheria. Nel 2020, insieme all'Avv. Fiasconaro, fonda il blog "Urbanistica in Sicilia". Nel 2021 consegue un master di 1° livello in diritto processuale amministrativo discutendo una tesi dal titolo "Danno da affidamento procedimentale e i profili di giurisdizione".