Ulteriori chiarimenti del C.g.a. in materia di recupero dei sottotetti in Sicilia

Ulteriori chiarimenti del C.g.a. in materia di recupero dei sottotetti in Sicilia

Con il parere n. 267/2021 reso in data 29/07/2021 per la decisione di un ricorso straordinario, il C.g.a. ha colto l’occasione per fornire diversi chiarimenti in merito alla disciplina regionale di recuperi dei sottotetti.

L’art. 5 della l.r. 10 agosto 2016, n. 16 consente il c.d. recupero volumetrico “a fini abitativi” dei sottotetti; e l’art.10 (comma 4, lett. “d”) della predetta legge – che introduce per le fattispecie ivi indicate la regola della alternatività fra “permesso di costruire” e “dichiarazione di inizio attività”) – ribadisce e conferma che si tratta di un recupero volumetrico “abitativo” o “ai fini abitativi”.

Dalla semplice lettura del “testo” della normativa richiamata (o, ciò che è lo stesso, dalla sua interpretazione letterale), è agevole desumere, quindi, che il recupero delle volumetrie dei sottotetti è consentito – lo statuisce a chiare lettere il legislatore – “a fini abitativi” e cioè allo scopo di rispondere al complesso delle esigenze abitative – a tutte e dunque a ciascuna di esse, nessuna esclusa – di chi intenda giovarsi dell’opportunità offerta dalla legge. E poiché non è neanche lontanamente concepibile che in un luogo destinato ad abitazione, nel senso compiuto e tradizionale del termine, non vi siano locali e spazi adibiti (e/o che possano essere adibiti) a servizi igienici, a cucina ed al riposo notturno e diurno non si può escludere dalla previsione normativa esaminata il “recupero volumetrico” di locali destinati o destinabili a tali usi. Sono proprio questi spazi e questi locali, infatti, quelli irrinunciabilmente consustanziali – nella contemporanea civiltà – alla funzione abitativa.

In tal senso non è possibile – da parte del Comune – sindacare le scelte dei cittadini relative alla distribuzione degli spazi all’interno delle proprie abitazioni; e ciò a tal punto da stabilire quale ambiente – fra più spazi parimenti salubri dal punto di vista igienico-sanitario – debba essere considerato “abitativo” e quale semplicemente complementare o strumentale alla funzione abitativa.

I Giudici hanno anche chiarito che è errata la tesi per cui che nel consentire il c.d. recupero “a fini abitativi” dei volumi dei sottotetti, il Legislatore abbia inteso riferirsi esclusivamente al recupero di spazi da utilizzare in funzione di “volumi tecnici” (e/o di volumi comunque solamente accessori e pertinenziali) e non anche al recupero di tutti i volumi che si rivelino utilizzabili per le attività che connotano – poco importa se primariamente o accessoriamente – la funzione abitativa (intesa in senso lato) e ad essa destinabili.

La ratio della norma che consente il c.d. recupero volumetrico dei sottotetti “a fini abitativi”, è quella di migliorare la complessiva fruibilità degli spazi interni all’abitazione al fine di renderla più comoda in relazione alle singole necessità; e non certo quella di creare esclusivamente volumi pertinenziali o di estendere quelli esistenti.

Se si pongono in relazione le varie disposizioni contenute nell’art. 5, comma 1, lett. “d”, della l.r. n. 16 del 2016 risulta ictu oculi che la norma in questione distingue nettamente fra “recupero abitativo dei sottotetti” e “recupero abitativo di pertinenze, locali accessori, interrati e seminterrati”, dettando per i primi regole differenti per il calcolo delle altezze.

La normativa in questione stabilisce, in particolare:

– che il “recupero abitativo dei sottotetti” è consentito (anche con la realizzazione di nuovi solai) purché sia assicurata per ogni singola unità immobiliare l’altezza media ponderale di 2 metri, calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la cui altezza superi 1,50 metri per la superficie relativa;

– e che il “recupero abitativo delle pertinenze, dei locali accessori, degli interrati e dei seminterrati” è consentito ove sussista una altezza minima non inferiore a 2,20 metri.

Ciò conferma che – nella ratio legis – gli spazi destinabili al “recupero volumetrico” non sono esclusivamente quelli, meramente pertinenziali ed accessori e che la normativa in esame non ha affatto inteso restringere (rectius: limitare) il recupero abitativo a questi ultimi: se così non fosse il Legislatore non avrebbe dedicato una specifica disposizione alla regolamentazione degli spazi specificamente abitativi, definendoli ed inquadrandoli come categoria autonoma e differenziandone la disciplina rispetto agli altri (quelli accessori/pertinenziali).

In altri termini dall’esame sistematico delle varie disposizioni contenute nell’art. 5 della l.r. n. 16 del 2016 – che vanno lette ponendole in reciproco rapporto fra esse – emerge inequivocabilmente che il Legislatore ha creato due diversi “tipi” di recupero volumetrico: il “recupero volumetrico abitativo” e il “recupero volumetrico di spazi non abitativi” (quelli pertinenziali, accessori e interrati, per i quali è richiesta un’altezza diversa).

Il principio di fondo sotteso all’istituto del “recupero abitativo dei sottotetti” è che le condizioni alle quali è subordinato il rilascio del correlato titolo abilitante sono soltanto ed esclusivamente quelle stabilite dalla stessa legge che lo disciplina, venendo – dunque – derogate le norme ordinarie e anche quelle in materia di indici di edificabilità.

E poiché la legge regionale n. 16 del 2016 prescrive che il recupero abitativo dei sottotetti va concesso alla sola condizione che vengano rispettate le disposizioni di cui all’art. 5, comma 1, lettera ‘d’ (nn.2, 4 e 6) della stessa (concernenti le altezze, i requisiti di aero-illuminazione, gli immobili soggetti a vincoli e gli oneri di urbanizzazione), è evidente che le norme che prevedono altre condizioni, requisiti o limiti debbano ritenersi inapplicabili alla fattispecie in questione; e che pertanto – e proprio per questa ragione – i volumi “recuperati in esubero” (id est: i volumi recuperabili in eccedenza rispetto agli indici di edificabilità ordinariamente operanti nella zona) non debbano essere computati (rectius: non devono essere considerati “abusivi” siccome giuridicamente irrealizzabili, né comunque insanabili).

D’altra parte, se così non fosse le norme che consentono il “recupero volumetrico” dei sottotetti sarebbero quasi del tutto pleonastiche (e comunque poco utili), posto che la sussistenza di residui di potenzialità edificatoria (emergenti in base agli indici normalmente praticati in zona) consente già di per sé lo sfruttamento a fini abitativi delle volumetrie ancora non utilizzate, purché – beninteso – nel rispetto delle norme igienico-sanitarie; mentre lo scopo perseguito dal Legislatore (come espressamente affermato nella norma in esame) è stato quello di «contenere il consumo di nuovo territorio» consentendo ai cittadini di estendere l’abitabilità dei fabbricati (id est: di aumentare gli spazi abitativi) oltre quanto ordinariamente previsto in applicazione degli indici di edificabilità; e cioè “in deroga” alle comuni norme.

Quanto sopra rilevato appare confermato, del resto, dallo stesso art. 5, comma 1, della più volte menzionata legge regionale, che ha affrontato espressamente la questione della operatività delle «prescrizioni tecniche in materia edilizia, contenute nei regolamenti vigenti», statuendo in modo tassativo che esse si applicano “fatte salve le deroghe di cui ai punti precedenti”; e cioè (che si applicano) nella misura in cui (e purché) non finiscano per neutralizzare la eccezionale portata derogatoria introdotta dalla specifica normativa di settore, normativa speciale che – come più volte sottolineato – condiziona il recupero edilizio alle sole condizioni ed ai soli limiti da essa indicati.

È quindi evidente che la realizzazione dei servizi, della cucina e degli impianti nei locali sottotetto ricavati a seguito del recupero volumetrico non integra un illecito ed abusivo cambio di destinazione d’uso, ma – al contrario – si risolve in una dovuta conformazione alla destinazione d’uso che la legge ha autorizzato; si concreta, cioè, in un necessario adattamento dei nuovi volumi (“recuperati” alla funzione abitativa) alla nuova destinazione loro impressa.

In teoria generale e secondo la più accreditata giurisprudenza, sussistono due tipi di “destinazione” degli immobili (terreni e fabbricati):

– la “destinazione urbanistica” (o “destinazione di zona”);

– e la “destinazione d’uso settoriale” (o “destinazione d’uso per categoria”).

La “destinazione urbanistica” è la funzione che gli strumenti urbanistici attribuiscono a porzioni o “zone omogenee” del territorio comunale, e trova originario fondamento normativo nell’art. 17 della legge 6 agosto 1967. n. 765 e nell’art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.

La “destinazione d’uso settoriale” – risultante dalla registrazione catastale – è, invece, la funzione urbanistica attribuita ad ogni singolo immobile.

La imposizione di quest’ultima “destinazione d’uso” ad un immobile ne condiziona la utilizzabilità determinando l’assoggettamento di coloro che ne abbiano la titolarità o la responsabilità gestoria a determinati regimi di settore, con la conseguenza che il suo “mutamento” può determinare l’insorgenza o la cessazione di obblighi (a carico o nei confronti dei predetti soggetti) e comportare, se realizzato senza alcun titolo autorizzativo, il perfezionarsi di reati o di illeciti amministrativi.

Orbene, l’art. 23 ter del d.P.R. n. 380/2001 – introdotto dal d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito in legge dalla l. 11 novembre 2014, n. 164 – ha definitivamente stabilito:

– che le “destinazioni d’uso a fini urbanistici” sono le seguenti: “residenziale”, “turistico/ricettiva”, “produttiva/direzionale”, “commerciale” e “rurale”;

– e che sono “urbanisticamente rilevanti” esclusivamente quei “cambi di destinazione d’uso” che comportano l’assegnazione dell’immobile ad una categoria funzionale diversa da quella originale.

Dunque, la realizzazione di bagni e cucine, nonché l’installazione di impianti di riscaldamento – effettuate in sede di recupero a fini abitativi di sottotetti – non comporta affatto la necessità di assegnare agli immobili (o ai locali) interessati una destinazione d’uso diversa da quella “residenziale”.

In altri termini, posto che la predetta attività edificatoria è rivolta esclusivamente a migliorare la fruibilità di immobili destinati a “residenza” – e non già a realizzare impianti incompatibili con la funzione abitativo/residenziale – è evidente che non si perfeziona alcun mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante.

Avv. Vittorio Fiasconaro

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Vittorio Fiasconaro

Di Vittorio Fiasconaro

Laureato nel 1991, consegue il dottorato di ricerca in Filosofia del Diritto nel 1997. Nel 1994 si iscrive all’Albo. Dal 1996 al 2007 dirige, dopo aver vinto il concorso, l’Ufficio Legale del Comune di Pantelleria (TP) e poi quello del Comune di Bagheria (PA). Dal 2004 al 2011 insegna Diritto Amministrativo e Diritto Processuale Amministrativo alla Scuola Sant’Alfonso di Palermo. Nel 2009 si iscrive all’Albo degli avvocati esercenti innanzi alla Corte di Cassazione. Oggi fa parte del Foro di Termini Imerese. Ha al suo attivo centinaia di giudizi in cui si e’ costituito dinanzi alla Giurisdizione Amministrativa.